In occasione dell’anno internazionale del bambino (1979) l’Unesco affidò alla Federazione Internazionale dei C.E.M.E.A. la realizzazione di un’inchiesta su scala mondiale sul tema “La qualità della vita scolastica”. L’associazione Regionale Ligure, a questo proposito, pubblicò un articolo di Cecrope intitolato provocatoriamente “La Refezione”. Lo stesso testo, con il titolo “Mangiare a casa, mangiare a scuola”, si trova anche nella Dispensa del seminario di formazione organizzato dal Comune di Roma (S.P.Q.R. Ripartizione IX “formazione e aggiornamento”).

Barilli evidenzia i rischi che un momento fondamentale come il pranzo vive all’interno dell’istituzione scolastica: essere ridotto ad un complesso di operazioni e l’egualitarismo burocratico che nega l’autonomia del bambino.


La “Refezione”

Il termine “refezione” esprime molto bene la vocazione delle istituzioni ad estraniare gli utenti dalla compartecipazione, anche linguistica, alla gestione di ciò che li riguarda più da vicino. Il termine “refezione” non esiste nel linguaggio corrente.

Attraverso di esso l’istituzione si appropria di un atto quotidiano, semplice e della natura, privandolo dei significati e dei riferimenti che per esperienza gli sono propri.

Per gli scolari si tratta del mangiare, del pranzo, per l’istituzione, invece, di un complesso di operazioni il cui momento terminale – l’ingestione del cibo – per la sua ovvietà, non presenta problemi.

Lo scolaro non pranza, ma viene, per dir così, refezionato, in un locale che si chiama, appunto, refettorio.

 

La normale operazione del mangiare tende a distorcersi in quei temibili e incomprensibili rituali che accompagnano le manifestazioni del Potere.

 

Il momento della refezione, dunque, propone problemi di vita e di educazione democratica che possono essere ignorati oppure studiati, analizzati e avviati a soluzione.

Tali problemi mettono in questione l’adeguatezza delle condizioni in cui il servizio viene reso ai bisogni e ai significati che la persona umana attribuisce all’atto del mangiare. […]

È in gioco dunque l’educazione sociale o socializzazione del bambino, di cui tanto si parla e ci si preoccupa. […]

Per lui il mangiare è cosa seria e importantissima. […]

Ma analizzando la prassi corrente della refezione vediamo che le cose si pongono diversamente.

Interviene qui un modo di considerare l’uomo: quello dedotto dall’egualitarismo burocratico.

L’obiettivo della distribuzione del pasto, secondo l’istituzione, sta nel disporre le cose in modo che ognuno abbia la sua parte – eguale per tutti. […]

Il piatto viene consegnato allo scolaro, che ne dispone come di sua proprietà.

 

Un bene che passa da un proprietario imprecisato (il Comune?) direttamente nelle mani dello scolaro. Giustizia è stata fatta, la legge è uguale per tutti. […]

 

Il problema della giustizia, come problema educativo, viene così eluso alla radice, non esiste (dunque non esistono gli altri).

Non viene chiamato in causa e messo alla prova il sentimento della giustizia (e il suo legame con quello dell’amore) proprio di ciascun uomo; la questione è improponibile, la giustizia sta altrove, nell’istituzione che pensa a tutto e al posto di tutti. L’uomo è dedotto dall’istituzione. […]

Ma prima ancora cerchiamo di riconoscere, nel concreto delle situazioni, i valori sociali e affettivi di cui abbiamo parlato:

  1. dividere il piatto. Mentre l’istinto spinge a impadronirsi del piatto e a eliminare i concorrenti, e l’istituzione elude il problema, il sentimento e la ragione agiscono in senso contrario. Ognuno capisce che la volontaria e pacifica divisione del bene comune è un fatto rilevante per la socializzazione dei ragazzi e per l’espressione della loro vita affettiva;
  2. la conversazione durante il pasto, fra ragazzi e con l’adulto che mangia con loro, conferma e ribadisce quanto sopra;
  3. i piccoli servizi, come apparecchiare e sparecchiare (o almeno disporre le stoviglie in modo da facilitare l’operazione), passare al compagno il cestino del pane, la brocca dell’acqua, il sale, esprimono una esigenza di partecipazione che è reale e presente nei ragazzi, una qualità superiore delle relazioni.

Tutto ciò impone qualche considerazione sulle condizioni oggettive e organizzative che rendono possibile l’affermazione di quei valori ai quali abbiamo accennato: […] I LOCALI […] L’ORGANIZZAZIONE […] IL RUOLO DEGLI EDUCATORI […].

 

Il tempo del pranzo è tempo educativo privilegiato, esso va utilizzato tutto, nella qualità e nella quantità.